L'accessibilità come forma di democrazia

di Chiara Organtini

Questo contributo è la rielaborazione dell’intervento di Chiara Organtini durante l’assemblea collettiva promossa da BASE DESIRESIDE Residenze Transdisciplinari, pratiche e modelli a confronto. Una densa giornata di conversazioni, talk, panel e tavoli di lavoro. Il nostro auspicio è di poter dare a questo tipo di attività la continuità che meritano, avviando un percorso collettivo di risemantizzazione dei processi di ricerca artistica.


Quale democrazia una residenza si può inventare? Forse quella in cui più istanze, corpi, voci, identità hanno un margine di espressione e di presenza.

Questo rimanda all’idea di accessibilità come una pratica; quindi, non come un programma statico in cui delle figure portano delle evidenze ma come un esercizio costante e continuativo, fatto di sforzi, che deve essere fatto da chi incarna il potere e l’istituzione. Vale a dire, da chi è stato sempre normato o normata dagli assunti e dalla narrazione ufficiale. È un esercizio abbastanza doloroso come l’apprendimento di una lingua nuova che rende di nuovo necessaria la riformulazione di tutto quello che si conosceva. A partire da questo esercizio doloroso sul bisogno di rompere le abitudini e gli assunti, un tema è fondamentale: come ci si arriva?

Un elemento importante in questo senso è l’apertura alla necessità di un dialogo con l’universo pedagogico, registrando il bisogno di nuove modalità pedagogiche, meno cartesiane e illuministe, e includendo la possibilità di apprendere nuovi linguaggi.

Tema centrale, poi, è quello del potere. Quale può essere l’azione che iniziamo a fare anche nel segnalare o nell’aprire gli spazi disponibili a chi ancora non c’è? Un’ immagine particolarmente evocativa è quella della scorciatoia. Antropologicamente tendiamo a ripetere le cose che sappiamo o a trovare la strada più corta e facile per raggiungerle. La pratica di apertura del potere ad altre voci e figure comporta lo smantellamento di un’abitudine e l’accogliere ciò che non vediamo e non sappiamo. Questa pluralità è ciò che risiede nell’essenza dell’accessibilità come forma di democrazia. 

Il desiderio è quello di approdare a delle istituzioni che siano destrutturate o che assumano altre posture attraverso probabilmente tre assi fondamentali: 

  1. Lavorare sull’impatto strutturale delle organizzazioni, quindi vedere l’accessibilità non come un problema di chi non c’è ma come un problema di chi ha lo spazio e il potere;
  2. La facilitazione di spazi di mescolanza: aprire degli spazi di prossimità e complicità tra istanze, corpi e comunità diverse e, quindi, anche arginare la segregazione delle sfere di potere ma anche delle comunità 
  3. La diversificazione delle leadership come possibilità di impatto anche sugli immaginari. Da una prospettiva estetica questo intercetta il tema del canone: a quali estetiche permettiamo di esistere su palchi o luoghi pubblici, perché quello trasforma l’immaginario e ci aiuta anche un po’ a tornare al discorso dell’educazione. 

Una domanda che intercetta tutti i temi di cui ci si è occupati è connessa al desiderio e alla figura, proveniente dal mondo classico, dei desiderantes. La domanda è: chi stiamo aspettando e cosa vogliamo vedere arrivare che ancora non c’è? 

è una cosa seria?

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