Estratti da “Support Structures” di Celine Condorelli, 2009

di BASE Milano

Tutto parte da questa intuizione: che ciò che definisco come strutture di sostegno possa liberare del potenziale, e che il sostegno non debba essere ridotto a un gesto reattivo, sintomatico e redentore, ma che attraverso la sua pronuncia possiamo essere in grado di ascoltare il non detto, l’insoddisfatto, il ritardato e latente, il in-processo, il pro-pensiero, il non-ancora manifestato, il non sviluppato, il non riconosciuto, il ritardato, l’senza risposta, l’indisponibile, il non-deliverable, il scartato, il sopravvalutato, il trascurato, il nascosto, il dimenticato, il non nominato, il non pagato, il mancante, il desiderio, l’invisibile, l’invisibile, il dietro la scena, il scomparso, il nascosto, l’indesiderato, il dormiente.

Per seguire questo fragile piombo in quasi completa oscurità, l’alternativa inequivocabile non è pensare al sostegno, ma – tautologicamente forse – sostenerlo, e pensare “a sostegno”. Non ci può essere discorso sul supporto, solo discorso a sostegno. Questa scelta, presa senza riserve, comporta il rifiuto dell’indagine, dell’indagine e dello studio analitico (uno studio di un soggetto da un ipotetico esterno che posizioni lavorano su e sul suo soggetto ma non possono mai parlare con esso) per l’esecuzione della sua proposizione primaria (“Io sostengo”), e può parlare in azione solo attraverso la voce di sostegno.

è una cosa seria?

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