Long Story Short: micro storie contro una a FAROUT 2023

di BASE Milano

«Conoscere il luogo da dove parliamo è fondamentale per riflettere sulle gerarchie, le questioni di disuguaglianza, la povertà, il razzismo e il sessismo». (da Il luogo della parola di Djamila Ribeiro)

L’espressione “To Make a Long Story Short” significa arrivare direttamente alla parte importante di una narrazione, tralasciare dettagli della storia che si sta raccontando, trascurando quelle che possono apparire informazioni irrilevanti.
Significa, in poche parole, scegliere quale versione della storia dare.

“LONG STORY SHORT” come linea portante di questa edizione del festival FAROUT si muove proprio su questo equivoco, nello spazio scivoloso che si crea tra la Storia con la S maiuscola – quella univoca, contrattata, mediata – e la pluralità delle storie dei singoli, minuscole, considerate spesso irrilevanti.
Eppure, narrazioni plurali avrebbero potuto produrre futuri plurali. Diversi. Futuri che oggi non sappiamo immaginare.

Una storia esiste soltanto quando viene raccontata e tutte le storie non raccontate fanno parte di possibilità represse. 
Cancellare, rimuovere, dimenticare alcune storie impedisce così di sperimentare percorsi di sviluppo alternativi di natura umana, politica e sociale.

E se ritrovassero voce? Forma di espressione pubblica?
Una proposizione che unisce tutte le proposte artistiche dei 10 giorni di questa edizione di FAROUT. Quest’anno a FAROUT ospitiamo opere che sono atti di resistenza e di liberazione dai canoni, dai paradigmi, da ciò che è culturalmente e storicamente accettato. Lo facciamo attraverso il corpo, la capacità generativa della parola, il dialogo (im)possibile tra mondi in conflitto. Ascoltiamo le reazioni generazionali al crollo delle ideologie. Liberiamo la rappresentazione della sessualità dalle dinamiche patriarcali.

Dall’incontro di queste proposte si sviluppano i percorsi che il pubblico potrà scegliere di intraprendere, alla scoperta di una voce plurale della storia.
Anche l’estetica di FAROUT 2023 ci accompagna in questo racconto. La parola che si fa immagine e si distorce, deforma, perde significato (o ne trova uno nuovo). Come nelle performance del festival ricerchiamo e raccontiamo la parola omessa, negata, riscritta, evocata, così nel trattamento della frase How to do things with words (J.L. Austin, 1962), l’autore accompagna alla scoperta dell’atto linguistico, che non si limita a descrivere, ma è capace di produrre immaginazione e poi cambiamento, nuovi mondi.

Linda Di Pietro
DIRETTRICE ARTISTICA DI BASE MILANO


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