Estratti da “Istituzioni Evanescenti - Considerazioni Politiche sull’Architettura Itinerante” di Marina Otero Verzier, 2016 

di BASE Milano

Nel marzo del 1969, il magazine giapponese SP (Space Design) pubblicò l’articolo Capsule Declaration dell’architetto giapponese Kisho Kurosawa, uno dei fondatori del Movimento Metabolista. Ottant’anni dopo, l’articolo è stato ristampato e incluso nel libro di Korosawa Metabolism in Architecture.

La Capsule Declaration è strutturata in otto articoli per una radicale trasformazione della società e dell’architettura. Art 2: “”Una capsula è la dimora dell’Homo movens”. Art. 3: “La capsula suggerisce una società diversificata”. Art. 4: “La capsula è destinata a istituire un sistema familiare completamente nuovo incentrato sugli individui”. Art. 5: “La vera casa degli abitanti della capsula, dove sentono di appartenere e dove soddisfano le loro esigenze interiori e spirituali, sarà la metapoli”. Art. 6: “La capsula è un meccanismo di feedback in una società orientata all’informazione, una società tecnetronica”. Art. 7: “La capsula è la forma definitiva di un edificio prefabbricato – un edificio industrializzato”. Art. 8: “La mentalità della capsula si oppone all’uniformità e al pensiero sistematico”. 

(…) Nel testo di Kurokawa, l’idea di capsula, anche se in dialogo con proposte simili di Buckminster Fuller, Archigram e Raimund Abraham, tra gli altri, acquisisce nuove dimensioni. La capsula è una “architettura cyborg”, una struttura simbiotica di elementi reciprocamente dipendenti – uomo, macchina e spazio. In quanto tale, è un “dispositivo che è diventato esso stesso uno spazio vitale”, senza il quale l’uomo non può sperare di vivere. Riflettendo la sensibilità che pervadeva gli anni Sessanta – e radicata nell’impatto provocato dalla pubblicazione delle prime immagini della Terra scattate dallo spazio, oltre che nei ricordi ossessionanti della bomba di Hiroshima – l’ambiente è ritratto come una casa che non offre né conforto né rifugio, un corpo da preservare e che, tuttavia, potrebbe diventare una minaccia per la sopravvivenza umana. Questo ambiente ostile, dove solo la tecnologia garantirebbe la sopravvivenza dell’uomo, massimizzando i corpi e forgiando la loro identità, è l’habitat dell’Homo movens.

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