Estratti da “Camps as Trans-Local Commons” di Pelin Tan. Dalla serie Refugee Heritage conversations on e-flux, luglio 2017

Quali pratiche di condivisione trans-locale potrebbero esistere tra i campi urbanizzati come Dheisheh o Al-Fawar in Palestina e quelli che si sono recentemente stabiliti in Turchia? Come possiamo ridefinire e sperimentare le infrastrutture di soglie, le pratiche di condivisione e i metodi di eredità sperimentale che emergono al loro interno? E in che modo le pedagogie dell’architettura e del design potrebbero fornire una base comune per questo tipo di comprensioni?

Condizioni geografiche distinte, forze socio-politiche e storie con la s minuscola/alternative rendono difficile l’analisi e l’interpretazione cumulativa. Tuttavia, questa conoscenza alternativa è esattamente il modo in cui le metodologie possono essere espanse e i concetti ridefiniti. Le forme anacronistiche dei campi profughi ci portano verso una nuova concezione dell’abitare, che non si basa su pratiche di “empatia”, ma piuttosto su intessere i commons.

(…) Dal 2013 dirigo studi di progettazione post-laurea presso la Facoltà di Architettura dell’Università Artuklu di Mardin, in cui abbiamo documentato e archiviato processi di auto-organizzazione e design in diversi campi, come quello di Calais, sulla Manica in Francia, Al-Fawar e Pikpa a Lesbo, un’isola greca a 4km dalla costa turca, e Midyat a Mardin, a soli 25 km dal confine siriano nel sud-ovest della Turchia. Ci siamo concentrat sul tema delle infrastrutture indipendenti e autonome, e le pratiche di condivisione da una prospettiva architettonica, che ci ha condotto al patrimonio dei campi, sia tangibile che intangibile. 

Insieme ad un gruppo di student post-laurea e da David Harvey, nel 2015 ho visitato Dheisheh Refugee Camp per condurre un workshop con Campus in Camps attorno al tema dell’”infrastruttura autonoma”. Ci siamo concentrat in primo luogo sulla solidarietà, piuttosto che sulle forme elementari di infrastrutture come l’acqua o l’elettricità, che abbiamo trovato essere strettamente connesse a quelle forme più basilari, materiali. L’urbanista Yildiz Tahtaci che ha partecipato al master, ha fatto un parallelismo tra il centro e la piazza delle donne nel campo profughi di Al-Fawar e il centro di lavanderia delle donne a Benusen, un quartiere di Diyarbakir popolato da persone curde che sono state forzate a emigrare dai propri villaggi negli anni ‘90 e a causa dello sviluppo urbano guidato dallo Stato, potrebbero essere costrette a spostarsi di nuovo.¹ La tesi di Tahtaci è che, nonostante la differenza geopolitica, è possibile fare un confronto tra le strutture dei commons tra i recenti campi greci e turchi e quelli più urbanizzati e consolidati in Palestina e Giordania.²  

Sia ad Al-Fawar che a Benusen, donne provenienti da contesti comuni, come lo sfratto e l’esilio, hanno creato spazi di soglia in cui si praticano i commons. Allo stesso modo, le cucine, i bagni e gli orti condivisi che abbiamo visto organizzare e progettare dalle famiglie durante la nostra indagine biennale nel campo di Çınar a Diyarbakir avevano un parallelo negli orti sul tetto di Al-Fawar.³ 

La soglia funziona come uno spazio di passaggio, un ponte che crea potenzialità. Negli spazi di soglia come i campi profughi, i centri di detenzione o i corridoi umanitari, Le località sono riprodotte e i beni comuni sono praticati attraverso diversi tipi di solidarietà e immaginari sociali in situazioni di presunta precarietà temporanea.⁵  

(…) Il campo è uno spazio vulnerabile. È costituito dalle sue soglie e dagli scambi che lì avvengono. È uno spazio di piccole iniziative economiche e pratiche di condivisione eterogenee che sovvertono i concetti prestabiliti di patrimonio, città, quartiere e cittadinanza. È quindi qualcosa che non solo andrebbe protetto fisicamente ma anche valorizzato a livello istituzionale. La documentazione e l’archiviazione del patrimonio temporaneo che potrebbe non essere riconosciuto da un approccio modernista alla conservazione, è dunque essenziale. Il campo di Çınar è stato smantellato e tutti i suoi abitanti sono stati trasferiti a Midyat, un campo ufficiale, AFAD, gestito dallo Stato nel dicembre 2016.Il materiale che abbiamo raccolto durante i nostri due anni di indagine è l’unica documentazione duratura dei beni comuni eterogenei che si svolgevano lì.⁹ Produrre un corpo collettivo di conoscenze sui campi profughi e la rappresentazione delle loro pratiche di condivisione è una parte vitale del patrimonio in modo che possa essere condiviso e trasmesso alle generazioni future.

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