Cosa sta accadendo nel mondo del teatro, della danza e delle arti performative in Italia?
Nel 2025, come previsto dal Decreto Ministeriale n. 463/2024, teatri, festival e compagnie hanno presentato al Ministero della Cultura i progetti triennali per accedere ai contributi del Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo (FNSV). Questo fondo sostiene attività professionali nei settori di musica, teatro, danza, circo e multidisciplinarietà, attraverso criteri che dovrebbero garantire qualità artistica, sostenibilità economica e impatto sociale.
Tuttavia, l’impianto valutativo adottato quest’anno ha mostrato gravi criticità. I nuovi parametri sembrano premiare principalmente le realtà con maggiore capacità di sbigliettamento, penalizzando la sperimentazione, la ricerca e l’innovazione artistica. Sono scomparse parole chiave come “contemporaneo”, “transdisciplinarietà”, “rischio culturale”, mentre si è incentivato l’aumento del prezzo del biglietto come indicatore di merito, favorendo di fatto il teatro commerciale a scapito di quello di ricerca.
Nelle scorse settimane sono stati pubblicati i risultati della Commissione Danza,
del Circo e dei festival Multidisciplinari: una strage!
Numerose compagnie di danza, festival e progetti formativi sono stati esclusi o declassati, mentre sono stati premiati organismi legati a repertori classici o a contesti poco trasparenti, spesso vicini a componenti governative. Festival ventennali di teatro e danza sono stati cancellati come se nulla fosse. Festival pluridecennali valutati con un punteggio talmente basso da comprometterne il futuro. Il 20 giugno, tre membri della Commissione Prosa (Cassani, Grassi e Pastore) si sono dimessi in blocco, denunciando l’impossibilità di un dialogo costruttivo e l’imposizione di scelte ideologiche, come il declassamento del Teatro Nazionale della Toscana diretto da Stefano Massini.
Queste decisioni colpiscono duramente l’intero ecosistema dello spettacolo dal vivo, in particolare le realtà più piccole e indipendenti. I tagli riguardano progetti già avviati nei primi sei mesi dell’anno, generando effetti immediati: cancellazione di date, perdita di posti di lavoro, interruzione di percorsi artistici e formativi.
Cancellare una compagnia o un festival significa anche cancellare una serie di professionalità, significa DISOCCUPAZIONE per personale artistico, organizzativo, amministrativo e tecnico.
UNA SCURE SI È ABBATTUTA SULLA CULTURA.
Il settore denuncia da mesi un attacco sistematico a una parte della scena culturale italiana. Le nomine politiche, i criteri opachi e l’assenza di confronto con le comunità artistiche stanno erodendo l’idea stessa di cultura come bene pubblico. In un contesto segnato da una crescente militarizzazione della spesa pubblica, la cultura viene marginalizzata e ridotta a strumento di consenso.
Ora che anche soggetti storici e riconosciuti sono colpiti, si apre forse uno spazio per una riflessione collettiva. Non si tratta di una battaglia corporativa, ma di una difesa della funzione democratica dell’arte. Come nel mondo della scuola e dell’università, anche qui è in gioco il diritto di tutte e tutti all’accesso alla cultura.
Il teatro pubblico è un investimento, anche in perdita, per produrre un altro tipo di “ricchezza”: il benessere culturale dei cittadini, il dibattito, l’incontro, lo scambio di idee, per far crescere la società, la cittadinanza, la consapevolezza attraverso la bellezza e la conoscenza.
In un clima di paura e intimidazione, il silenzio rischia di diventare complicità. Ma la cultura di regime si costruisce proprio così: dividendo, isolando, selezionando chi può parlare e chi no.
È il momento di alzare la voce, di organizzarci, di praticare conflitto.