Emiliano Ponzi, illustratore con un piede a Milano e l’altro a New York. Con le sue illustrazioni elabora l’immaginario visivo di riviste, case editrici, case di moda e realtà culturali italiane e internazionali. Nel salottino vintage di BASE, Emiliano apre la sua cassetta degli attrezzi per raccontare il suo kit di forme, palette colori, mirabilia e fonti di ispirazione.

Emiliano Ponzi – Foto ROAR studio
UN GIOCATTOLO
Il primo oggetto di cui mi piacerebbe parlare è questa macchinina – un banalissimo giocattolo – che mi serve per condividere con voi un insegnamento che ho assimilato col tempo: la tenuta di strada. Per chi ha appena iniziato un percorso professionale o per chi sta sperimentando è fondamentale resistere alle porte chiuse. Per me la tenuta di strada ha significato puntare a un obiettivo, non distraendosi con un piano b. Il mestiere dell’illustratore è complesso: c’è la competizione, la difficoltà nel trovare il proprio tono di voce, il proprio linguaggio, la necessità di avere un certo stile e la determinazione di credere nel proprio lavoro. Personalmente, tengo sempre a mente questa macchinina e provo a farla andare dritta, o per lo meno a non farla cappottare.
Che poi, a volte, farla cappottare fa bene, perchè si resetta tutto e si riparte con un nuovo vigore, un po’ come se ci si fermasse ai box per fare benzina. Anche sbagliare strada, almeno all’inizio, fa bene. E’ una condizione sine qua non di un’esplorazione dei territori. Come il non essere mai sazi. Chi è che conosce fino in fondo le proprie potenzialità e i propri limiti? Nessuno, sicuramente non all’inizio e forse neanche dopo. Chi fa una lavoro di comunicazione cresce anche con il crescere della personalità e della persona, con lo sviluppo di un vocabolario più ampio. A volte puoi sbagliare linguaggio, anche io ho fatto delle illustrazioni dove sperimentando, ho sbagliato strada.
UNA SEMPLICE T-SHIRT BIANCA
Il secondo oggetto è una t-shirt, bianca, di cotone. Rappresenta il modo in cui vedo il lavoro dell’illustratore, del creativo, nonché il consiglio che darei a chi si approccia a questo mondo: non seguire le mode. É un po’ un paradosso per chi fa un lavoro che segue le regole di un mercato, però è una lezione che si comprende col tempo. Se seguiamo la moda facciamo riferimento a qualcosa che, si, ha un grande successo ma per un periodo di tempo limitato.
La capacità di resistere alle mode non vuol dire necessariamente essere tradizionali o tradizionalisti; vuol dire trovare una chiave per fare in modo che lo stile che noi stiamo usando in quel momento non sia mai più importante del nostro tono di voce. Copiare o ispirarsi a uno stile che funziona, ignorando però il processo che porta alla costruzione di quello stile, paga nel breve termine, ma è dannoso e tossico nel lungo termine. Un esempio sono tutti i “figli illegittimi” di Malika Favre: quando tramonterà questo grande momento della tinta piatta, femminile, con colori forti, lei rimarrà e tutti gli altri andranno nel dimenticatoio. Perché lei ha seguito il suo tono di voce, il processo l’ha portata lì, gli altri hanno preso il prodotto e l’hanno replicato.
UN DADO PIÙ GRANDE DEL NORMALE
Ho portato anche un dado per affrontare il grandissimo tema della fortuna. Non esiste il datore di lavoro, l’art director o l’azienda che ti intercetta per caso e ti fa fare un grande lavoro o ti fa diventare noto e ricco. Credo che la fortuna sia episodica, che vuol dire trovarsi nel posto giusto al momento giusto ma anche lavorare sodo per costruire le condizioni migliori perché gli incontri fortuiti abbiano luogo.
Il dado che ho scelto è di marmo, più pesante di quelli da gioco in scatola, perché mi aiuta a presentare un aspetto specifico della fortuna. Durante un percorso di formazione o un percorso professionale ognuno costruisce la propria solidità. A quel punto, se arriva l’incontro giusto al momento giusto, si hanno anche le spalle per poterlo sostenere. Talvolta, invece la fortuna é prematura. La cosa fondamentale è essere ricettivi e avere una solidità che ci è data dalla nostra professionalità, costruita giorno dopo giorno in maniera graduale.
IL MIO PASSAPORTO
Il motivo per cui ho portato il passaporto è semplicemente il numero, che è solo mio. Il numero del passaporto rappresenta l’istanza di unicità, il mio stile rispetto a tutti i modi che ci sono per raccontare il mondo. Il mio è un lavoro di filtraggio: un illustratore prende la complessità del mondo, la filtra attraverso la propria sensibilità, esperienza, vissuto e poi la rilascia nel mondo attraverso un un’immagine.
Per forza di cose, quindi, la tua narrazione e il tuo percorso sono diversi da quelli di un altro. È fondamentale fare il meglio che possiamo con le abilità che abbiamo. Io ad esempio non sono un abile disegnatore. Bisogna capire qual è il proprio superpotere. Io credo che il mio superpotere sia quello di essere motivato. Sono motivato nel non contemplare il fallimento, la cui definizione è estremamente soggettiva. Per me fallimento, ad esempio, significava deludere le persone che mi hanno sostenuto durante la mia formazione.
A volte, peró, non riusciamo a fare quello che vogliamo subito, allora dobbiamo frenare e trovare un altro modo per arrivare all’obiettivo. Prima vivevo nel sogno che bastasse fare dei bei disegni e avere un gran talento per arrivare ovunque. Invece, come in qualsiasi altro lavoro, bisogna impegnarsi e avere costanza: con la presenza, facendosi vedere dai clienti, facendo delle conferenze, dimostrando di avere un’opinione. Chiunque faccia un lavoro creativo è un po’ fragile, perché ha bisogno di specchiarsi negli altri per avere delle conferme. Sapersi vendere diventa quindi una competenza importante perché bisogna mettere in mostra la parte di sé più sicura, convinta e proattiva e non è sempre facile.
UNA BANDIERA AMERICANA E UN PREMIO
Questa bandiera americana l’ho presa al consolato USA, due anni fa, mi avevano invitato a vedere l’ultima parte dello spoglio dei voti nelle elezioni tra Trump e la Clinton. Sappiamo bene come sono andate quelle elezioni e questa bandiera me la sono portata un po’ come segno di fallimento. L’America nell’immaginario collettivo rappresenta un sogno, un Paese pieno di opportunità, che è vero, ma c’è anche altro.
Per me il cielo dell’America è comunque un “cielo più grande”, mi ha dato grandi soddisfazioni soprattutto agli inizi. Per questo, il mio quarto oggetto è doppio. Insieme alla bandiera ho portato il Premio della Society of Illustrators. Non perché sia importante in sé ma proprio per mettere in evidenza il mio rapporto ambivalente con i premi. È bello vincerli, ma è anche molto molto aleatorio. Inutile negare che i premi sono degli shottini di autostima, ma poi finiscono sugli scaffali. Per me, non sono un punto di arrivo ma una responsabilità che devi mantenere con te stesso.
UN MESTOLO DI LEGNO
Questo bellissimo cucchiaio di legno lo usava mia mamma quando ero piccolo per minacciarmi, ma non l’ho portato per questo motivo e neanche perché cucino, in realtà non cucino mai. L’ho portato sempre per una tematica legata al lavoro, però doppia. Una è l’ossessione di cui vi ho parlato prima: prima di mostrare un lavoro per un cliente lo rifaccio piú volte. E a questo proposito il mestolo: una ricetta quando la fai la prima volta ti verrà in un modo, la centesima ti verrà in un altro, probabilmente migliore perché conosci i tuoi strumenti di lavoro e saprai il metodo. Che pentola devo usare? Quanto deve cuocere il ragù di carne di manzo? Quindi il provare a perfezionare quella cosa lì. Meno male che ci sono i limiti delle deadline!
L’altro motivo per cui ho portato il cucchiaio è per invitare a cambiare spesso gli ingredienti di una ricetta. Io dopo un po’ mi annoio a fare sempre le stesse cose anche se sarebbe molto più facile: un illustratore è anche un brand e se ripropone sempre gli stessi colori, le stesse forme, è ovvio che è più riconoscibile. Personalmente cerco di fregarmene un po’ dell’assioma branding e cambiare un pochino la ricetta. Partendo sempre dal ragù, avendo po’ di dimestichezza con quel tipo di pietanza, penso “perché non provare ad uscire dallo standard?” E quindi metto più pepe, meno sale, aggiungo un ingrediente a caso. In qualche modo, senza fare delle grandi rivoluzioni copernicane, forzo un pochino il limite per provare a vedere se c’è un modo per fare una ricetta un po’ più gustosa. È un’oscillazione: a volte mi capita di fare delle illustrazioni in un momento in cui sono un po’ più emozionato perché sto facendo qualcosa di nuovo, altre volte semplicemente bisogna chiudere un lavoro e fai la tua ricetta con degli ingredienti che sai già a priori che funzionano. Però per me è molto noioso, mi annoio ad essere ripetitivo e quindi provo a cambiarla.
Abbiamo parlato di on the road creativi, ma nel tuo km0 dove peschi le ispirazioni? Come lo componi, come continui a tesserlo questo immaginario?
Molto del mio immaginario si nutre a screenshot, appunti mentali o scatti di dettagli e forme che mi attirano. Spesso poi le inserisco nei miei lavori, le ri-mastico per farle diventare un pezzo del mio vocabolario. Se torniamo all’inizio, alla metafora della macchina, è importante tenere la strada ma anche viaggiare con un finestrino aperto. L’altro, quello che c’è fuori, arricchisce sempre, spesso in modi in cui non ce lo aspettiamo.
Intervista tratta dall’incontro Wunderkit, raccolta di storie e piccole meraviglie delle imprese creative.
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